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Dall'Atalanta alla campagna


"Siate uomini, poi calciatori", intervista a Diego Bortoluzzi

Una vita da mediano, così con un titolo di una famosa canzone possiamo descrivere Diego Bortoluzzi. Si descrive così: "palleggiavo con il libro di scuola tra le mani, prima di partire per andare ad allenamento". Con questa frase si capisce subito che lui e il calcio sono un'unica cosa. Un grande amore, per restare in tema musicale.

Vittoriese "DOC", sposato con Sonia e padre di Petru (21 anni) e Sergiu (12 anni), inizia fin da piccolo a giocare con la squadra della sua città. Visto il suo costante impegno e le sue grandi doti, di lì a poco busserà alla sua porta l'Atalanta che lo preleverà dal Vittorio Veneto per scaraventarlo in serie A. Esordisce nella massima serie a soli 19 anni al San Paolo di Napoli. Questa maglia lo porterà addirittura alla convocazione in nazionale juniores insieme a un certo Roberto Baggio.

Dopo alti e bassi però, causati anche da gravi infortuni, lascia Bergamo e gira un po' tutta l'Italia da nord a sud; veste le casacche di Brescia, Venezia, Avellino, Treviso e Conegliano dove nel 2003 chiude la sua carriera appendendo le scarpe al chiodo.

La sua relazione col mondo del calcio però non finisce, infatti l'anno successivo inizia l'esperienza da allenatore a Palermo, come vice di Baldini che dopo poco però sarà esonerato, ed è proprio qui che inizia la relazione professionale con Francesco Guidolin, centrando subito la storica promozione in serie A, che alla squadra siciliana mancava da ben 31 anni. Questa relazione diventa sempre più forte e duratura, infatti dopo una breve parentesi a Treviso come primo allenatore, prima della primavera e poi catapultato in prima squadra nelle ultime gare di serie A, i due si ritrovano ancora a Palermo per ben 2 stagioni inanellando ottimi risultati, successivamente vanno a Parma dove centrano la promozione diretta in serie A e una successiva salvezza tranquilla. Infine la favola Udinese dal 2010 al 2014 con ben 2 campionati consecutivi chiusi con la qualificazione ai play off di Champions League, e altri 2 al di sopra di ogni aspettativa, con una squadra totalmente nuova ogni anno. Ma ora lasciamo parlare lui.

Come è stato il tuo esordio nella massima serie?

È stato un giorno che rimarrà nei miei ricordi indelebili, perché era Napoli, c’erano 70 mila spettatori, c’era Maradona e tutti cantavano “Olè Olè Olè Diego Diego” e io sono entrato e mi sono detto: mah mi stavate aspettando?

È stato difficile trasferirsi a Bergamo, lasciando parenti e amici ?

All’inizio no, poi col passare del tempo, maturando mi sono reso conto che qualcosa avevo perso nelle amicizie e nella vita quotidiana. Mi venivano a mancare gli avvenimenti di ogni persona normale, come i raduni famigliari della domenica, l’uscire con gli amici il sabato sera. Adesso quando capita di farne qualcuno sono ben contento di farlo.

Che squadra tifavi da piccolo?

Da piccolo ero Juventino, anche grazie a mio papà che mi ha portato a vedere qualche partita della storica Juve di Zoff, Bettega, Scirea e quindi mi sono entusiasmato. Però poi ho perso la passione per quel tipo di tifo e ho iniziato a tifare per qualche giocatore che mi ha colpito tecnicamente oppure dal punto di vista umano come ad esempio Paloschi e Antonelli che mi chiamano “lo zio”. Steven Gerrard è l’unico mio vero idolo, che nell’ottobre del 2012 ho avuto l’onore di incontrare con l’Udinese in Europa League e per me è stata un’emozione immensa. Gli ho fatto anche firmare il suo libro, aspettandolo fuori dallo spogliatoio per mezz’ora. Era un po’ incavolato, forse perché aveva perso, ma comunque mi ha ringraziato per aver comprato il suo libro.

Quale è il giocatore più forte che hai allenato ? (togliendo Di Natale e Sanchez)

Per quello che ha rappresentato per la squadra dico: Luca Toni! Perché ha fatto 30 gol in serie B e 20 in A l’anno successivo, ma poteva farne 10 in più ogni anno. Era un extraterrestre in B, ma sta dimostrando ancora adesso il suo gran valore.

Descrivici la relazione lavorativa con mister Guidolin

È nata per caso, e non so perché mi ha tenuto il primo anno a Palermo sinceramente. Dal punto di vista lavorativo c’è un’ottima sintonia, conosco molto bene qual è il suo modo di pensare e di lavorare e quindi ci capiamo con un’occhiata ormai. Ogni tanto ha delle esigenze particolari ad esempio per far passare un messaggio alla squadra, non lo fa solamente comunicandolo a voce, ma utilizza anche altri mezzi come ad esempio quello video, andando a recuperare dei pezzi di film che trasmettano quel determinato messaggio.

Anche se però non tutti prendono sul serio questo metodo, ma secondo Guidolin sicuramente arriverà il messaggio a qualcuno e questo è l’importante. Un filmato che mi ricordo ancora, è quello del secondo anno a Palermo dove era arrivato il tempo di uscire allo scoperto e attaccare il momento e quindi ho fatto un montaggio di una tigre che prima si mimetizzava e poi è uscita e ha azzannato la preda e successivamente è rimasta vigile per non farsi attaccare a sua volta. (ridendo dice meritava l’Oscar quel filmato)

Zamparini è così cattivo come viene descritto dai vari giornalisti?

Zamparini lo conosco molto bene perché l’ho avuto 8 anni, 5 da giocatore al Venezia e 3 da allenatore e sono molto legato a lui ed è grazie a lui se ho iniziato la carriera da allenatore. Sapevo già quindi a cosa andavo in contro. È di grande stimolo quando le cose vanno bene ma sai che quando vai male puoi aspettarti di tutto. Sono però certe sue dichiarazioni alla stampa che veramente ti creano dell’imbarazzo sul lavoro.

Voi avete allenato il Parma che ora naviga in brutte acque, c’erano dei segnali di questo?

Noi abbiamo preso in mano la squadra che era in serie B ed era messa male in classifica, la squadra era forte però bisognava dare una certa solidità e dare una continuità di risultati e in questo Guidolin è bravissimo. Subito nel primo anno Guidolin ha visto che c’era qualcosa che non gli piaceva e pur facendo un ottimo campionato di serie A l’anno successivo, il rapporto con qualcuno all’interno della società non era così soddisfacente, si sarebbe aspettato maggior peso decisionale. Se lo sarebbe meritato perché riportare una squadra in serie A immediatamente dopo la retrocessione non è facile, soprattutto in quelle piazze dove la gente pretende.

Il Treviso dopo il primo fallimento, un secondo fallimento e ora solo metà classifica in eccellenza, come mai?

Non lo so francamente. Non ho più seguito le vicende da vicino, certo è che il Treviso è stata una società solida finchè faceva i passi a seconda della lunghezza delle gambe, dopo quando è arrivata la serie A, il presidente ha perso la testa e ha gettato le basi per il fallimento probabilmente. Dispiace sicuramente. Quando succedono queste cose io dico sempre: la gente non si rende conto nel momento in cui ha la fortuna che le cose vadano bene di quanto importante sia lavorare perché le cose continuino ad andare bene. Senza prendersi da manie di grandezza. È facile andar a prendere giocatori ma è difficile scegliere uomini, è meglio aver una squadra di ottimi giocatori con testa che una squadra di grandissimi giocatori ma senza testa.

Più recente la favola Udinese, come è nata e quale è stato il segreto?

Quando stava finendo il capitolo Parma e stavamo parlando con l’Udinese, Guidolin diceva sempre a me: questa squadra piace tanto, è da 60 punti in classifica. E poi quando è partita non finiva più, c’erano giocatori troppo bravi. C’era tutto in quella squadra, c’era qualità, c’era forza, c’era intelligenza. Certe partite erano spettacolo puro! Avevi la consapevolizza che con qualcosina in più potevi puntare a sognare per lo scudetto, cosa che per i capi della società non è mai passato per il cervello. Con quella squadra lì si doveva pensare in grande perché non c’era una leader come la Juve oggi, ma è anche vero che un Sanchez non puoi trattenerlo a Udine dopo la chiamata del Barcellona. Io penso che se facessimo un mix tra le due squadre dei primi due anni, verrebbe fuori una bomba! L’ultimo anno sono saltati un po’ gli equilibri all’interno dello spogliatoio e anche con la società, per questo la favola è finita.

Adesso che sei a casa cosa fai?

Io adesso mi sto “disintossicando”, guardo le partite solo per puro piacere. Mi piace poter vivere il rito della domenica pomeriggio come la maggior parte degli italiani, ovvero aspettare le partite per il piacere di vederle. Cerco di stare il più possibile con i miei figli, cosa che non ho potuto fare in questi ultimi anni. E cerco di imparare a fare il contadino, un po’ il boscaiolo stando quindi all’aria aperta.

Un consiglio che vuoi dare a tutti i nuovi giocatori e uno a tutti i nuovi mister

Ai giocatori di divertirsi, impegnarsi tantissimo negli allenamenti e di non pensare di esser bravi, perché c’è sempre da imparare. Agli allenatori invece di pensare meno alle tattiche e dar più importanza alla parte tecnica individuale dei giocatori.

Articolo postato anche su OggiTreviso - http://www.oggitreviso.it/dallatalanta-alla-campagna-108455

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